
È veramente difficile depurare la nozione di normativa aziendale da quell’aurea di negatività e da quella sorta di sensazione polverosa che si è sedimentata nella nostra percezione. È abitudine comune pensare le procedure e le policy organizzative come forme di restrizione e controllo dell’agire aziendale o, in alcuni casi, una forma di burocrazia che si cumula in modo irrazionale, impedendo e ostacolando la fluidità dei processi lavorativi. In effetti, la torsione normativa che hanno vissuto le organizzazioni negli ultimi anni, il continuo adeguamento alle direttive nazionali o europee, il ricorso caotico a adempimenti dal carattere puramente costrittivo e inibente ha snaturato il nostro rapporto con una delle facoltà più nobili delle organizzazioni, ovvero la capacità di definire procedure e metodologie finalizzate alla condivisione e al consolidamento del ‘sapere’ aziendale. È proprio la necessità di dare forma ai processi, l’esigenza di trasmettere e condividere le migliori best practice sperimentate sul campo, che spingono le organizzazioni a modellare e formalizzare l’esperienza lavorativa nella forma di norme, procedure e regole di comportamento.
Recuperare il senso primario della natura degli impianti normativi, del loro rapporto con la conoscenza e con il capitale intellettuale dell’azienda, può consentire la valorizzazione dell’organizzazione e rappresentare il vero incentivo al miglioramento dei processi. Infatti, all’origine delle regolamentazioni aziendali, oltre all’aspetto di mero adeguamento agli ordinamenti esogeni, c’è proprio la condivisione delle esperienze collettive di sviluppo. In qualche modo, la definizione di norme e procedure misura la capacità delle organizzazioni di ‘dire quello che sanno’. La differenza fra sapere tacito ed esplicito, fra know that e know how, è chiara a tutti ed è strettamente connessa al grado di maturità delle organizzazioni. In una celebre frase l’Ingegnere William Edwards Deming spinse all’estremo questo concetto:
“Se non riesci a descrivere il procedimento di cosa stai facendo, non sai cosa stai facendo”.
In pratica non ci sono processi aziendali se non siamo capaci di codificarli e di comunicarli: la capacità di fare le cose risulta nulla se non si è in grado di formalizzarla e di condividerla con il resto dell’azienda. È proprio il processo di collettivizzazione del sapere, il passaggio a una dimensione sociale e partecipata del lavoro, che implica la necessità delle norme. In poche parole: normare bene significa lavorare bene. La normativa, dunque, si occupa proprio del ‘fare’ e del ‘sapere’ inerente alla propria professione ad è dunque e lo strumento più adatto a gestire e a valorizzare la conoscenza che le organizzazioni producono. Possedere conoscenza e saperla poi gestire o metterla a fattor comune è una delle più grandi sfide del mercato moderno: bisogna sviluppare l’abilità delle aziende di collezionarla, valorizzarla e trasformarla in metodi e norme che incrementino tempestivamente la produttività.
L’accelerazione improvvisa, che la trasformazione digitale ha impresso ai fenomeni economici e alla crescita di nuovi modelli e stili di business, ci costringe a pensare che il puro possesso della conoscenza sia sempre meno un valore e che il successo delle azioni aziendali si possa ottenere solo sapendo mettere a profitto, in modo rapido e pratico, il proprio ‘saper fare’. Sembra ormai chiaro che, in questo contesto di rapida trasformazione e di estrema turbolenza del mercato, il vecchio modello di conservazione e protezione della conoscenza perda peso e ciò che conti sia solo la capacità di produrre nuovo sapere e di farlo atterrare nel più breve tempo possibile. Ma il percorso che chiamano ‘esternalizzazione’, che consente la conversione di conoscenza tacita – che appartiene alle persone – in esplicita, mettendola così a disposizione dell’organizzazione, è un’operazione particolarmente complessa che avviene con il verificarsi di forme di interazione sociale che consentono di creare, attraverso opportune forme comunicative, esperienze condivise.
Spesso questo processo viene rallentato da complessi iter di validazione e da modelli obsoleti di modellazione e strutturazione delle procedure. Il primo compito delle nuove tecnologie è di agevolare e accelerare la raccolta di input dalla base lavorativa, di applicare dei sensori ‘digitali’ alla fonte, nel cuore dei processi, lì dove il sistema reattivo e creativo dell’azienda dà i migliori risultati. Chi analizza le norme di processo – ed è chiamato a proporre le nuove linee guida di regolamentazione delle operation – ha la necessità di sondare quotidianamente la capacità di azione e reazione dell’azienda. Ma solo con buone soluzioni digitali si può essere in grado di raccogliere in tempo reale le idee di sviluppo, i racconti di disservizio e dei contributi messi in campo per la loro risoluzione, le best practice adottate dalle diverse funzioni aziendali.
“Sto lavorando duro per prepararmi al mio prossimo errore”, così il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht riassumeva lo spirito che animava il suo lavoro. Oltre alla fatidica coesistenza di ‘fare’ ed ‘errore’, che gli era tanto cara, c’è in questa frase tutta la consapevolezza di chi sa attendere lo sbaglio, riconoscerlo e trasformarlo in un’opportunità di miglioramento. Viviamo in un mercato che sottopone le aziende a migliaia di eventi di business, molteplici e cangianti, che stressano costantemente qualsiasi procedura aziendale e ne mostrano i limiti.
La capacità reattiva dell’azienda spesso supera, e a volte copre, le falle procedurali. La professionalità dei singoli permette di gestire al meglio le eccezioni di processo e di trovare soluzioni più o meno brillanti alle non conformità o alle criticità di percorso.
La collezione sistematica delle non conformità, la raccolta delle contribuzioni risolutive, l’analisi attenta delle competenze utilizzate sono gli elementi indispensabili che formano la knowledge base dell’organizzazione e lo stimolo fondamentale all’evoluzione dell’impianto normativo. In passato era impossibile dare seguito a gran parte delle non conformità di processo – ci si soffermava sulle più rilevanti e frequenti – e le fasi di test delle procedure avevano una frequenza mensile, se non più ampia. La velocità del digitale ci permette di attuare verifiche continue e di raccogliere e capitalizzare in modo istantaneo quanto avviene in termini di difformità e di abilità nella risoluzione. Purtroppo, la scarsa sensibilità di chi si occupa di processi determina l’impossibilità di convogliare le criticità verso chi si occupa di migliorarli e snellirli, soprattutto quando gli incidenti si verificano nelle zone più periferiche e meno connesse dell’azienda. Migliaia di racconti risolutivi, di decisioni critiche, rimangono depositate, in modo disordinato e invisibile, nelle email personali dei singoli attori, inibendo così la possibilità di dare seguito ad azioni correttive che abbassino il livello di rischio connesso a quel particolare evento. L’utilizzo degli strumenti tradizionali di segnalazione delle non conformità viene spesso disatteso e le inefficienze aziendali vengono collezionate solo nelle fasi canoniche di verifica che danno una percezione parziale degli eventi. L’assenza di strumenti digitali che orchestrino e traccino le azioni correttive e le soluzioni adottate dagli owner del processo procura perdita di informazioni preziose, non consentendo, fra l’altro, di misurare la capacità reattiva dell’organizzazione. La cura del capitale intellettuale dell’impresa e l’emersione delle competenze aziendali passano proprio attraverso l’adozione di strumenti digitali ‘adattivi’ e di orchestrazione di processi così imprevedibili. La digitalizzazione dei processi di risoluzione delle criticità è dunque una delle principali voci dell’agenda digitale delle aziende che aspirano a una trasformazione (o almeno lo dovrebbe essere). La flessibilità e l’abilità di adattarsi alle variazioni di contesto sono dovute alla più o meno buona capacità delle aziende di elaborare nuove procedure. A dispetto della percezione comune è proprio la normativa il punto di innesto del cambiamento e dell’evoluzione dei processi di business.
Il tasso di dinamicità e di elasticità delle regole di un’organizzazione è quasi sempre frenato dalla necessità di conciliare le norme di processo con quella di disciplinare i comportamenti scorretti. Una qualsiasi norma si porta dietro un bagaglio di controlli e di sistemi di verifica che appesantiscono le procedure, trasformandole spesso in strumenti rigidi e vincolanti. Il peso dei controlli, combinato con la tendenza tutta italiana di iper-normare e di dettagliare all’inverosimile ogni singola attività, rende la produzione delle procedure lentissima e sostanzialmente illeggibile.
È proprio l’attenzione eccessiva verso l’apparato sanzionatorio, lo sbilanciamento evidente sulle fasi di mappatura dei rischi e di auditing, che impoverisce il ruolo delicato di chi è chiamato a definire le linee guida dell’operare aziendale. Un buon assetto di verifica e controllo dei processi di business ha oneri importanti, sia in termini economici sia di risorse umane impiegate. Ed è qui che il digitale può offrire i vantaggi più rilevanti: è possibile sgravare l’azienda di questi costi grazie alla capacità di automatizzare i test delle fasi di validazione e la possibilità di accelerare e orchestrare i processi di controllo sottoponendo agli auditor solo le eccezioni ad alto rischio. Il sollievo economico rappresentato da una buona soluzione di orchestrazione digitale delle fasi di controllo può risultare, per molte realtà, l’opportunità di dirottare risorse preziose verso le fasi di miglioramento dei processi di business.
Molte importanti realtà aziendali hanno provato, a più riprese, a snellire le azioni di verifica e a ottimizzarle, anche in seguito alla pressione esercitata dagli enti preposti alla vigilanza (per esempio Banca d’Italia nel settore finanziario), ottenendo però risultati discutibili. La storia dei sistemi di governance ci racconta che a ogni esigenza di controllo imposto dall’esterno, le imprese hanno reagito creando un sottosistema aziendale, una funzione dedicata e preposta che ha sommato un altro silos digitale alle soluzioni di compliance di gruppo. L’esigenza di ridurre gli strumenti, ma soprattutto di creare un’integrazione virtuosa fra tutte le soluzioni di governance, di mappatura dei rischi e di analisi dei processi è un’urgenza irrinunciabile che stenta a trovare una via d’uscita.
È evidente che bisogna cambiare ottica. In questo contesto, gioca un ruolo rilevante il processo di digitalizzazione delle procedure, che può rappresentare una leva in grado di restituire all’organizzazione nuova linfa vitale e un impulso sano all’efficacia dell’azione lavorativa. Una soluzione che consenta la facile ridefinizione di un processo, la produzione tracciata e condivisa di una scheda prodotto, la redazione assistita di un regolamento o la pubblicazione e la fruizione dei relativi documenti su strumenti di facile consultazione può rappresentare una spinta al rinnovamento complessivo del sistema digitale. L’obiettivo è semplice: correlare rischi e controlli con procedure e norme, deleghe funzionali e procure ai processi di validazione interni, test e verifiche ai sistemi ERP e ai quelli dedicati ai processi specializzati.
L’attenzione maniacale alle fasi di controllo e di audit, al ‘come’ anziché al ‘cosa’, ha dunque creato una sorta di effetto di rifrazione ottica deformante che impedisce alle funzioni organizzative di recuperare il senso originario dell’attività di definizione di regole a supporto delle strategie. Le stesse procedure, siano esse relative alla qualità o alla compliance finanziaria, sono state organizzate a uso e consumo degli Auditor, dimenticandosi delle esigenze degli utenti di disporre di linee guida chiare ed efficaci. L’utilizzo di formalismi tecnici e di criteri di organizzazione spericolati, rende l’impianto normativo di difficile consultazione e per niente funzionale alle esigenze quotidiane di fruizione. Il ricorso, sempre più frequente a testi unici e ad allegati tecnici complica lo scenario, creando un gap sempre più profondo fra le esigenze organizzative e le funzioni operative.
Paradossalmente questa pedanteria complessiva ha alzato il livello di rischio: l’utilizzo di procedure complesse e il ricorso a sintesi ‘fatte in casa’ da gruppi di utenti volenterosi espone sempre più spesso le aziende a sanzioni importanti, a causa di comportamenti difformi nel trattamento delle informazioni dei soggetti esterni all’azienda o dell’applicazione errata di clausole ormai obsolete. L’Intelligenza Artificiale e i motori di ricerca semantica possono dare un grosso contributo alla semplificazione del sistema, offrendo strumenti di catalogazione e sintesi dei contenuti alternativi a quelli imposti dalle autorità di controllo. Le nuove tecnologie sono in grado di sintetizzare ‘on demand’ i contenuti testuali, di catalogare in modo naturale le normative secondo criteri più consoni a chi siede dietro uno sportello o a chi risponde da un call center, di offrire strumenti di ricerca molto vicini al linguaggio degli umani piuttosto che al loro ‘controllore’. La digitalizzazione del processo di redazione, validazione e pubblicazione della normativa aziendale ha un duplice obiettivo: rendere semplice e tempestiva la fase di revisione delle procedure esistenti e offrire un supporto adeguato agli utenti che devono interpretarla.
Grazie alle nuove tecnologie è possibile ‘diffondere’ le fasi redazionali, costruire uno spazio sociale di discussione e validazione delle scelte, arrivare in modo puntuale e completo alle richieste degli utenti.
Da quanto detto finora, risulta chiaro che la funzione di produzione e diffusione delle norme e delle direttive aziendali può acquisire un valore strategico, in quanto momento chiave di trasformazione delle strategie aziendali in modelli operativi concreti. Il gap fra strategie e operation, ovvero il differenziale che misura la capacità dell’azienda di adattamento all’innovazione e alla crescita, può essere ridotto solo grazie a una trasformazione complessiva dei processi di trasformazione dell’esperienza aziendale in regole semplici e chiare da mettere a fattor comune.
Ma in molte imprese e in particolare nelle grandi compagnie che devono sottoporsi a regolamentazioni imposte da organismi esterni di vigilanza e controllo, le funzioni di compliance e di auditing prendono il sopravvento, creando così sovrastrutture interne che dispongono di sistemi di disciplina e di controllo, di fatto autonomi e slegati dal contesto generale organizzativo. La ridondanza di impianti normativi e la molteplicità di scopi e di regole da seguire crea un collo di bottiglia che impedisce di assecondare i cambiamenti e di attivare un ciclo rapido di aggiornamento dei criteri di organizzazione del lavoro. A questa molteplicità dei sistemi normativi si aggiunge la creazione di quelli informativi dedicati, non integrati, che spesso richiedono gli stessi controlli ai medesimi processi e utenti, ma in contesti legislativi diversi.
La semplificazione passa attraverso una reingegnerizzazione dei processi organizzativi, ma la leva del digitale può offrire una grande opportunità di mutazione del sistema. Le soluzioni informatiche tradizionali spesso non si innescano nel processo lavorativo e si propongono come un ‘secondo momento’ di gestione, un doppio sistema che appesantisce le fasi di intervento e lascia alla buona volontà degli attori del processo l’onere di aggiornare le soluzioni di GRC (Governance, risk & compliance) messe a disposizione dall’ICT di gruppo.
L’adozione di strumenti digitali adattivi di orchestrazione di processi così dinamici è un passaggio inevitabile. La parola chiave è “naturalizzare”, ovvero alimentare la soluzione digitale nelle fasi di lavorazione senza ulteriori effort: per esempio mentre si sta risolvendo una criticità segnalata da un cliente proponendo in modo proattivo la porzione di procedura più pertinente alla problematica e rendendo immediata e trasparente l’apertura della non conformità, filtrandola e catalogandola in modo automatico, estendendo la sua visibilità verso controllori e responsabili delle strategie di processo.
È mia convinzione che per affrontare le sfide, che le imprese devono gestire in questo difficile momento sociale ed economico, certamente le tecnologie digitali possono essere un valido aiuto nell’allineare le strategie ai processi operativi. Sono altresì convinto che l’organizzazione aziendale, grazie alla sua delicata funzione di produzione delle norme, possa diventare il centro di eccellenza specializzato nel valorizzare le risorse umane, nel creare contesti digitali che privilegino la collaborazione e la creatività dei gruppi di lavoro, nel far atterrare sul mercato, in modo veloce e incisivo, le strategie adottate dal management.